Per decenni i personaggi e le storie LGBTQIA+ sono state quasi inesistenti o, al massimo, ridotte a macchiette stereotipate asservite al canovaccio narrativo per dare una nota simpatica e di colore al racconto. Ora le cose sembrano essere cambiate e una nuova generazione di sviluppatori e giocatori queer sta trovando se stessa (e gli altri) nel medium videoludico.
Il cambiamento, insomma, è il primo sintomo di civiltà.
Secondo una recente indagine condotta da Ukie (la Association for United Kingdom Interactive Entertainment) ben il 21% di tutte le persone che lavorano nell'industria dei videogiochi del Regno Unito, si identifica come LGBTQIA+. Fino a poco tempo fa questa affermazione identitaria non veniva (meglio, non poteva essere) riversata nelle opere che raggiungevano il pubblico. Come ben sappiamo, per lungo tempo software house e publisher hanno propugnato uno stereotipo talmente imperante da diventare dogma: protagonisti maschi, preferibilmente caucasici, eterosessuali che sparano a tutto ciò che si muove.
Le cose, da qualche tempo, stanno cambiando e il medium videoludico inizia a rispecchiare la realtà al di fuori dei pixel. In quanto opera avanzatissima dell’ingegno umano non sarebbe potuto essere altrimenti, in effetti. Il videogioco, imbrigliato per lungo tempo entro granitici recinti, ha iniziato ad abbracciare i mutamenti della società, divenendo in qualche modo specchio e megafono; un amplificatore per far sentire voci che prima venivano sovrastate da un rumore bianco estremamente pervasivo.