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LGBTQIA+ - riconoscersi,
in un videogioco
Cutting edge gaming / #Blog #gaming #inclusività #Speciale

Per decenni i personaggi e le storie LGBTQIA+ sono state quasi inesistenti o, al massimo, ridotte a macchiette stereotipate asservite al canovaccio narrativo per dare una nota simpatica e di colore al racconto. Ora le cose sembrano essere cambiate e una nuova generazione di sviluppatori e giocatori queer sta trovando se stessa (e gli altri) nel medium videoludico.

Il cambiamento, insomma, è il primo sintomo di civiltà.

Secondo una recente indagine condotta da Ukie (la Association for United Kingdom Interactive Entertainment) ben il 21% di tutte le persone che lavorano nell'industria dei videogiochi del Regno Unito, si identifica come LGBTQIA+. Fino a poco tempo fa questa affermazione identitaria non veniva (meglio, non poteva essere) riversata nelle opere che raggiungevano il pubblico. Come ben sappiamo, per lungo tempo software house e publisher hanno propugnato uno stereotipo talmente imperante da diventare dogma: protagonisti maschi, preferibilmente caucasici, eterosessuali che sparano a tutto ciò che si muove.

Le cose, da qualche tempo, stanno cambiando e il medium videoludico inizia a rispecchiare la realtà al di fuori dei pixel. In quanto opera avanzatissima dell’ingegno umano non sarebbe potuto essere altrimenti, in effetti. Il videogioco, imbrigliato per lungo tempo entro granitici recinti, ha iniziato ad abbracciare i mutamenti della società, divenendo in qualche modo specchio e megafono; un amplificatore per far sentire voci che prima venivano sovrastate da un rumore bianco estremamente pervasivo.

Oggigiorno sempre più spesso i giochi offrono agli utenti molte più opzioni per creare personaggi che li rispecchiano. Viene eliminata la selezione binaria del genere, si permette al giocatore di perdersi in una personalizzazione del personaggio che consente un'espressione di genere ricca di sfumature. I giochi che offrono le cosiddette esperienze “romance” stanno iniziando a consentire ai giocatori di immergersi in storie d’amore LGBTQIA+. Stiamo parlando di grandi titolo come Dragon Age, Mass Effect, Cyberpunk 2077, The Last of Us e così via. Esiste però un caso studio che potremmo paragonare alla scintilla che provocò il grande incendio della Roma neroniana: The Sims. Il simulatore di vita targato EA rappresenta un caso curioso (nato da un banale fraintendimento) nella storia dei videogiochi. Come spesso accade è proprio il caso a dare il via alle rivoluzioni.

The Sims, il cambio di prospettiva

Forse non tutti sanno che The Sims ha avuto uno sviluppo piuttosto lungo e travagliato e ha rischiato di esser cancellato. Nel corso dell’iter creativo una delle discussioni che impegnò il team - trattandosi chiaramente di un simulatore di vita - fu quella se consentire o meno la presenza di relazioni omosessuali nel gioco. C'era il timore (era pur sempre il 1998) che l’implementazione di una tale caratteristica potesse avere un impatto negativo. Addirittura c’era chi in EA, già all’epoca tra i più importanti colossi dell’industry, non aveva alcuna intenzione di imboccare una strada del genere, ovviamente per non incorrere in polemiche, attacchi e, soprattutto, in una debacle disastrosa nelle vendite di un titolo potenzialmente controverso a rischio boicottaggio.

Dopo un tira e molla durato diversi mesi, il team decise di sposare la linea dell’ala conservatrice: furono escluse le relazioni omosessuali dal codice del gioco.

Poi accadde qualcosa. Nel 1998 entrò in Maxis (la software house responsabile dello sviluppo) Patrick J. Barrett III, uno giovane programmatore che, ovviamente, non era a conoscenza della decisione. A quindici giorni dall’assunzione il neo assunto si trovò senza alcun compito da svolgere. Jim Mackraz, a capo della programmazione dovette cercare qualcosa da fargli fare così, nell’attesa di momenti più impegnativi, questi consegnò a Barrett un documento che descriveva il funzionamento delle interazioni sociali nel gioco; le regole di base per l'IA che delineava il modo in cui i personaggi avrebbero dovuto interagire tra loro. Quello, però, era un vecchio documento, cronologicamente precedente alla decisione di escludere le relazioni omosessuali dal gioco. Le sue pagine descrivevano una rete di interazioni sociali in cui ogni tipo di relazione veniva consentita, peraltro funzionando perfettamente (tanto che i personaggi potevano benissimo essere bisex senza alcun problema sull'infrastruttura del gioco).

Un E3 indimenticabile, l’inizio del futuro

Lo sviluppatore ovviamente non ci vide nulla di male e lo implementò senza grosse riserve nel codice di gioco. Nessuno nel team mise in discussione il lavoro di Barrett, quasi ignorando la feature.

All'inizio del 1999, prima che EA avesse la possibilità di intervenire su tale questione, a Barrett fu chiesto di creare una demo scriptata da mostrare all'E3. La demo avrebbe dovuto mostrare tre scene diverse. Si trattava di spezzoni di gioco pianificati e preregistrati. Venne il giorno tanto atteso e all’E3, sul palco e davanti a una sala gremita, i produttori del gioco assistettero - non preparati - alla scena di due Sims dello stesso sesso che si corteggiavano e si baciavano appassionatamente, innamorandosi. Dopo quel bacio, il titolo godette delle luci della ribalta per tutto il resto dell'E3 e anche oltre (tanto che alla fine il titolo non venne più cancellato), dando inconsapevolmente il via alla libertà che possiamo vedere e di cui possiamo godere nei videogiochi odierni.

Il Pride Month videoludico

Da tempo, ormai, l’industry videoludica ha deciso di abbracciare (in maniera più o meno sentita, più o meno sincera, più o meno legata alle vendite) le celebrazioni e le iniziative per l’eguaglianza e i diritti LGBTQIA+ inondando i videogiochi di aggiornamenti arcobaleno. Ovviamente non ci soffermeremo sul contrasto piuttosto evidente tra queste belle idee e gli scandali che a cadenza regolare colpiscono proprio l’ambiente di lavoro all’interno delle multinazionali dell’entertainment (videoludica ed esportiva). Purtroppo, per quanto se ne parli tali episodi continuano ad essere la classica pianta infestante da cui non ci si riesce mai a liberare. Così come le idee che riguardano la sfera dell’identità sessuale inserite dagli sviluppatori nei videogiochi, le quali non sono sempre ben accolte dalle varie community. Basti ricordare la campagna di boicottaggio e di odio che dovette fronteggiare Blizzard quando svelò l’orientamento sessuale di Tracer o, ancor peggio, di Soldato 76.

Ciò che vogliamo, invece, sottolineare per chiudere questo articolo è la progressiva apertura delle opere videoludiche a tali temi. Pensiamo, ad esempio, a Life is Strange True Colors, Tell me Why, Stardew Valley, tutti i rivoli “romance” che si possono creare nei GDR come Mass Effect, Dragon Age, il già citato The Sims, i prodotti Ubisoft come Assassin’s Creed Odyssey, The Last of Us e così via. Senza contare, poi, i titoli cosiddetti GAAS (o Game as a Service) come i vari Overwatch, VALORANT, League of Legends, Rainbow Six e via di questo passo, in cui i personaggi ormai vengono identificati con un genere o l'orientamento sessuale specifico. Insomma, se ne è fatta di strada da quel bacio di The Sims…ma altrettanta, se non di più rimane ancora da fare, per far sì che non ci sia più bisogno di un Pride Month che imbrigli la coscienza sociale in soli trenta giorni. Il videogioco è uno dei mezzi espressivi più liberi in assoluto e finalmente ce ne stiamo accorgendo.

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